Maschera e retorica di un fallimento annunciato
Goblin e Metaverso
La parola dell’anno nel 2022 secondo la designazione di Oxford è stata “Goblin Mode”, modalità che designa il piacere di essere impresentabili (come i goblin dell’immaginario fantasy).
Un neologismo per definire il rifiuto delle aspettative della società e l’atto di vivere in modo trasandato senza preoccuparsi della propria immagine di sé.
Non a caso il secondo classificato in questa peculiare classifica è stata la parola “Metaverso”; si potrebbe quindi dire che vi è un legame sotteso tra una trasandatezza esistenziale, frutto anche dell’isolamento forzato a causa della pandemia globale, e l’anelito a un’esistenza virtuale in grado di lasciarsi alle spalle i limiti e le brutture del reale, con le sue fatiche e affanni.
Tuttavia, all’interno di questo salto logico, all’apparenza innocuo e forse anche lecito, vi è celato un meccanismo perverso il cui obiettivo ultimo è l’esistere alienato come unica forma di esistenza possibile.
E proprio dalla presa di coscienza di come il mondo virtuale rappresenti la trappola suprema, ha avuto inizio il rapido declino del Metaverso e dei suoi emuli.
La Terra Promessa
Ancora nella prima metà del 2022 il Metaverso era sulla bocca di tutti: quella propagandata non era solo la naturale evoluzione di internet ma veniva presentata come una singolarità tecnologica in grado di riscrivere il modo in cui l’individuo farà esperienza del mondo in futuro.
L’apparente potenziale commerciale era così potente che ha costretto Mark Zuckerberg a rinominare Facebook in Meta, reimmaginando così la sua attività di social media come “un’azienda del metaverso”.
Ma nello stesso anno, anziché ridefinire rapidamente Internet, l’ascesa del Metaverso ha subito un brusco arresto e il numero di utenti sulle piattaforme di formazione ha faticato a raggiungere le decine di migliaia.
Nft (Non-Fungible Token) e Metaverso all’inizio del 2022 erano le parole più abusate: dopo un anno di crisi e inflazione si possono fare i conti.
Anzi, li ha fatti un recente rapporto di Deloitte Private secondo cui si assiste a un rallentamento deciso della corsa dei certificati digitali che attestano l’atto di proprietà di un prodotto virtuale.
Il settore dell’arte che per primo ha trainato i token – nel 2021 un’opera digitale dell’artista Beeple è stata venduta a oltre 60 milioni di dollari da Christie’s – ha subito un crollo del 60%.
Solo un anno prima, il 2021 aveva inaugurato una nuova tendenza: il Metaverso e le aspettative sugli effetti che avrebbe dovuto sorbire sulla società.
Esse riguardavano l’attuazione di esperienze di realtà virtuale con una sua massiccia estensione a Internet e ai social network.
Un cambiamento epocale i cui effetti sarebbero stati visibili nei prossimi decenni, un nuovo universo fatto di esperienze, film, concerti, incontri, giochi e tutto ciò che è possibile immaginare in forma digitale.
La routine quotidiana e declinata in formato virtuale: riunioni, incontri, pranzi, sport, fitness, film, fiere, videogiochi e acquisti convertiti per essere disponibili nel nuovo ambiente 3D in via di costruzione.
Un mondo virtuale esteso, dove è possibile invitare amici a casa, giocare, fare surf, incontrare i colleghi o partecipare ad un concerto senza spostarsi dal salotto di casa.
Un New Deal digitale?
Come risulta evidente, l’idea alla base del Metaverso è quella di un mondo senza contatti umani reali, aspetto centrale di cui ha parlato la giornalista Naomi Klein, descrivendo lo scenario no touch imposto dalla pandemia di Covid e denominandolo “Screen New Deal“.
Scrive la Klein: «sta cominciando a emergere qualcosa di simile a una dottrina coerente dello shock pandemico. Possiamo definirlo il New Deal dello schermo. Molto più hi-tech di qualsiasi cosa abbiamo visto durante i disastri precedenti, un futuro che tratta le nostre ultime settimane di isolamento fisico non come una dolorosa necessità per salvare vite umane, ma come un laboratorio vivente per un futuro senza contatto permanente e altamente redditizio».
È all’interno dello scenario prospettato da Naomi Klein che va collocata la futura costruzione dell’ultra-universo digitale.
L’onnipresenza in uno spazio non più fisico, la dilatazione ed accelerazione di un tempo infinito pongono le basi per la continuazione in altre forme della vita, in uno spazio appunto non più abitabile fisicamente.
Nel futuro virtuale e aumentato che il New Deal del Metaverso si propone i comportamenti e le interazioni sono destinate ad essere standardizzate fino alla perdita dell’importanza del segno del singolo individuo.
L’uomo, in questa nuova realtà, è chiamato a declassare l’esperienza di stare insieme a un altro essere umano là dove lo spazio comunitario tradizionale fatto di incontri e riti non esiste più.
Il nuovo spazio comunitario è costituito dai social; in questo luogo alienato è difficile fare incontri se per questi si intende incontrare l’individuo e non un suo simulacro.
L’imprevisto, la sorpresa propria dei luoghi fisici non attendono più l’uomo; lo scambio relazionale che lo rendeva un animale sociale, inserito in una comunità, e in questa identificato viene meno nel nuovo totalitarismo dell’infosfera di cui il Metaverso è espressione.
Smaterializzare il mondo
Parlare di Metaverso, e più in generale di mondi virtuali, costringe a criticare l’ottimismo di chi, nel continuo sviluppo delle tecnologie e nella loro diffusione sociale, vede solo vantaggi per la qualità della vita umana.
Un’umanità che vive tutto il giorno a contatto, se non in simbiosi, con dispositivi tecnologici digitali di cui non riesce più a fare a meno non è più un’umanità né naturale né libera.
Tuttavia, quando certi fenomeni sociali si diffondono oltre un certo limite si finisce per rassegnarsi, in un’accettazione nella sfera della normalità di ciò che in realtà altera il normale.
Così l’ordine digitale de-realizza il mondo, informatizzandolo.
L’inflazione oggettuale in cui siamo immersi ci inganna, convincendoci che le cose abbiano ancora il predominio; i tentativi di smaterializzazione del reale operati da tecnologie come il Metaverso ci dicono invece il contrario.
Le informazioni, quindi le non-cose, si piazzano davanti alle cose materiali, facendone sbiadire non solo la presenza ma anche l’importanza.
Nel momento in cui ci abituiamo a esperire il reale solo ed esclusivamente attraverso mezzi digitali diventiamo cechi nei confronti di quegli oggetti reali in grado di tenerci ancorati al nostro essere nel mondo.
L’obiettivo di tutti i mondi virtuali è raggiungere un nuovo grado di civiltà intesa come una crescente smaterializzazione della realtà, immaginando che il virtuale sia una frontiera che sta oltre il reale, quindi esplorabile e conquistabile.
Questo, ad un’analisi attenta, non corrisponde al vero.
Non solo i due mondi, quello reale e quello virtuale, per quanto comunicanti, non condividono lo stesso fondamento, ma il secondo dei due non possiede uno statuto in senso ontologico.
Per quanto la parola “Metaverso” suggerisca un’ibridazione tra “meta” (quindi “oltre” dal termine originale greco) e “universo” (quindi un complesso che racchiude un sistema) non può essere considerato un mondo ma solo una sua proiezione.
Pertanto il virtuale non è un prolungamento del reale ma solo una sua forma degradata e illusoria.
Le cose stabilizzano la vita umana fornendole contenuto mentre simulacri digitali, siano essi oggetti, persone, ambienti o eventi, sono sempre e comunque semplici informazioni e non punti fermi dell’esistenza.
Un Giano Bifronte
Uno dei termini aleatori che accompagna il Metaverso sino dai suoi esordi è “libertà”: l’universo virtuale indicato come luogo in cui l’individuo è “libero”.
In questo senso è possibile affermare che il Metaverso è un Giano Bifronte, la cui ambiguità cela una doppiezza pericolosa: nell’affermare la libertà assoluta cela la tendenza ad annullare quella stessa libertà che proclama.
Il mondo virtuale garantisce una nuova libertà, ma al contempo espone a una crescente sorveglianza che influenza anche il vissuto nel reale.
Nel costruire un’esistenza totalmente digitale ci si espone a uno sguardo panottico; le informazioni che si ricevono dal mondo digitale, spesso manipolate, non informano bensì deformano la percezione del mondo.
A detta dei demiurghi che governano le regole di questi universi fittizi, l’infosfera all’interno del quale il metaverso cala l’individuo, ha un effetto emancipativo: libera gli uomini dagli affanni dell’esistenza in modo molto più efficace rispetto al mondo reale.
Lavorare immersi nel virtuale non sarà mai paragonabile al lavoro quotidiano, spesso duro, che ci obbliga a essere noi stessi con gli altri.
Nel Metaverso la promessa è quella di potersi de-responsabilizzare, congedandosi da chi realmente siamo.
Diventiamo noi stessi i protagonisti di un reality on line riguardante la nostra vita; l’altro c’è ma non esiste.
Questa identità virtuale conduce ad una spersonalizzazione, con un nostro doppio più reale dell’altro che rifugge la materialità della vita e le relazioni interpersonali, che si trasforma in un “goblin” privo di attenzione verso ciò che è realmente.
In questo senso si può affermare che il Metaverso mira alla distruzione dell’identità rivelandosi un attacco all’uomo, un tassello di un preciso processo di riconfigurazione antropologica.
Qualunque tipo di rivoluzione, non solo sul piano antropologico ma culturale, per essere legittimata dalle masse, dev’essere offerta in una chiave buonista, paternalista, politicamente corretta.
Cioè si deve far passare l’idea che questa trasformazione dell’uomo che sta avvenendo è per il benessere collettivo e che quindi qualunque attacco all’identità avvenga per il raggiungimento di un fine più alto.
E qui rientra il politicamente corretto all’interno del quale è inserito il Metaverso: come maschera e come retorica per poter giustificare tutto ciò.
Terra e cielo
La domanda del perché dovremmo barattare il mondo reale con uno fittizio è ancora in sospeso, arrivati alla conclusione è quindi necessario formulare una risposta.
Invece di sognare mondi digitali all’interno dei quali “vivere” esistenze sì alternative ma totalmente fittizie, bisogna tenersi ben stretto l’ordine terreno delle cose, la cui tenuta concettuale è comprovata.
Il mondo delle cose corrisponde all’unico ordine del vero di cui l’uomo può fare esperienza;
le cose del mondo, nella loro verità che esperiamo tutti i giorni, stabilizzano la vita umana.
Al contrario nei mondi virtuali costruiti attorno alle sole informazioni, non c’è verità né persistenza.
Il fondamento della vita umana sarà sempre e solo nell’esperienza reale e ogni forma di virtuale di questa sarà sempre una degradazione e uno svuotamento.
Allora l’unica risposta possibile, che spiega anche il rapido declino del Metaverso e dei suoi emuli, la possiamo trovare nelle parole di Hannah Arendt.
«Possiamo chiamare verità ciò che non possiamo cambiare; metaforicamente, essa è la terra sulla quale stiamo e il cielo che si stende sopra di noi».